Prefazione di Marino Severini
Società Editrice Apuana srl, 2025Nuovo
Questa terza "Luccica" ha avuto l'onore della splendida presentazione di Marino Severini, che ringraziamo sentitamente e che pubblichiamo integralmente.
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BUON VENTO
di Marino Severini
Mentre stavo leggendo “SCALA RICHARDS“ (il libro che tenete fra le mani), arrivato a pag. 121, ho avuto una sorta di visione.
Non so come dire... ma è come se un soffio di vento, lieve e profumato, mi avesse attraversato. Un vento che veniva da lontano, o meglio dal profondo della mia anima. Dalla mia infanzia.
In quel tempo c’erano ancora le stagioni e gli inverni erano lunghi e freddi e la neve cadeva lenta e copiosa per giorni e giorni.
Ricordo benissimo l’esperienza della Neve. E sì, perché la neve è un’esperienza, non la impari sui libri, la neve. La neve è l’esperienza di uno stato di Grazia.
Allora la neve era capace di fermare il tempo. E di fare del mondo un altro mondo. Un mondo tutto uguale. Senza limiti, senza confini, la neve li cancellava. La neve cancellava addirittura le strade, i sentieri. Disorientava... Come se tutto un mondo entrasse in un Sogno!
E la neve portava con sé il Grande Freddo, quindi, non volendo, costringeva gli uomini ad avvicinarsi al Fuoco, a ritrovarsi attorno al fuoco. La neve quindi era una sorta di benedizione, perché faceva riscoprire a una comunità la propria essenza. L’Unità ritrovata attorno al fuoco.
Ripeto, la neve era uno stato di grazia.
E in quei giorni mio padre, che faceva allora il muratore, non andava a lavorare, e insieme agli uomini dell’Imbrecciata (una frazione di Filottrano, piccolo paese delle Marche dove sono nato e ho trascorso l’infanzia) era solito passare i pomeriggi nella stalla di un casolare di contadini.
Si ritrovavano al caldo, un caldo fatto dal fiato delle mucche, dell’odore di paglia misto a quello del letame e dal vino che qualcuno dei presenti portava da casa.
Mio padre mi portava con sé in quei pomeriggi e io mi sentivo un po’ come Gesù nel tempio...
Ero un bambino fra i grandi, fra uomini che conoscevano la vita dura, la fatica, avevano facce solcate da rughe profonde, ed erano tutti lì... chi giocava a carte, chi se ne stava un po’ in disparte pensieroso, chi in silenzio intrecciava i vimini per farne un cesto... ma quando meno te l’aspettavi ecco che qualcuno cominciava a raccontare... a raccontare un pezzo della sua vita.
Erano sempre racconti di viaggi... di quando erano stati lontano da casa. Qualche volta erano stati portati via dalla guerra, altre volte dalla fame… racconti di viaggi in mare coi bastimenti diretti in Argentina, altre volte erano protagoniste le miniere in Belgio o in Francia... o la vita in Germania.
E quando qualcuno cominciava a raccontare gli altri pian piano si azzittivano e prestavano ascolto. Ogni tanto qualcuno entrava nel racconto facendo la sua parte, si univa alla storia con la sua esperienza. Arricchiva, allargava quella storia fino a farla diventare comune...
Erano racconti di odissee capaci di riaccendere in ognuno di quegli uomini il fuoco della memoria, che ognuno di loro teneva vivo, nonostante il freddo là fuori. Il Racconto dava riparo, protezione...quel senso del Noi che rassicurava, anche in vista dei tempi nuovi che stavano arrivando, dalla paura che abitava in fondo ai cuori. La paura che quello che stava arrivando li avrebbe dispersi nuovamente, li avrebbe portati lontano, li avrebbe trovati soli e indifesi, la paura di perdersi…
Tornare indietro è sempre un buon modo per andare avanti, per non dimenticare le strade fatte, per dire a noi stessi e non dimenticare che abbiamo vissuto in movimento, camminando, cercando una Terra Promessa. E che lo abbiamo fatto insieme ad altri come noi. E che in quel Cammino abbiamo scoperto la nostra Appartenenza. Una Storia Comune.
Vi chiederete a questo punto “ma cosa c’entra tutto questo con i 14 racconti contenuti in Scala Richards?”
Sinceramente non lo so, io mi arrendo davanti a una “visione” come davanti a un sorriso... una visione e un sorriso che questi racconti m’hanno provocato.
Sono storie fra realtà e fantasia che fanno un altro giro nel Grande Cerchio. Che fermano il tempo, che servono per prendere fiato, per ritrovare quella condivisione che è fondamento, rotta e riparo di una comunità.
Storie che fanno un altro giro come fa la Terra che gira su se stessa per poter girare attorno al Sole. Per fare di NOI e la terra una cosa sola.
Sono storie di ARTIgiani del proprio tempo, “ribelli, sognatori e fuggitivi”, per dirla con Soriano.
Anime mosse da quello Spirito Libero che vanno alla ricerca di una nuova Ri-Creazione!
Sono storie che contengono in sé tanta Musica. E come la musica appartengono a un tempo ma sono anche senza tempo.
Bob Dylan termina il suo “Filosofia della canzone moderna” con queste parole: La Musica trascende il Tempo vivendoci dentro, proprio come la reincarnazione ci permette di trascendere la vita rivivendola un’altra volta e un’altra ancora.
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